Mi piace condividere con le persone che incontro l’approccio con cui mi sono formata, l’Analisi Transazionale, approccio che mi piace integrare in terapia anche con altre tecniche (gestaltiche, corporee, creative, …), rendendo ancora più unica e preziosa la relazione di cura. Credo che dare degli spunti teorici, che siano adeguati, semplici ed il più possibile facilitanti, permetta di condividere in maniera ancora più profonda e paritaria il progetto di terapia.
L’Analisi Transazionale (AT) è una delle teorie psicologiche più conosciute. Fondata da Eric Berne negli anni ‘50, l’AT è uno degli approcci di psicoterapia umanistici più apprezzati ed efficaci al mondo. L’AT è inoltre una teoria della personalità (in quanto ne spiega la struttura attraverso il modello degli Stati dell’Io), della comunicazione (in quanto è un valido strumento di comprensione delle transazioni verbali e non), dello sviluppo infantile e della psicopatologia. Con la sua ricchezza, costituisce un ponte tra le profondità della nostra vita interiore e la quotidianità, tra gli aspetti più intimi e personali e le relazioni attuali e passate, dando grande importanza alle relazioni primarie stabilite durante l’infanzia.
L’AT possiede tre assunti di base fondamentali:
1) Io sono ok, tu sei ok
Tutte le persone (proprio tutte!) hanno un valore e una dignità in quanto esseri umani, al di là dei loro comportamenti che possono essere sbagliati e provocare sofferenza a se stessi e agli altri. Secondo questo assunto nessuno è superiore all’altro; siamo tutti allo stesso livello in quanto persone. E questo vale anche se i ruoli sono diversi, come in un rapporto professionale tra terapeuta e paziente. Ciò che quindi possiamo osservare e giudicare della persona non riguarda mai la sua essenza di creatura quanto invece il suo modo di agire. Da questa prospettiva, la terapia costituisce una vera e propria palestra in cui separare l’Essere dal Fare, la Persona dal suo Comportamento, riconoscendo l’importanza del valore di ognuno con la sua storia.
2) Ognuno ha capacità di pensare
Ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni in quanto ha una testa pensante (ad eccezione di chi ha subito un grave danno cerebrale!). Quindi è responsabile delle proprie decisioni e ha diritto di esprimere il proprio punto di vista. Il pensiero della persona ha valore, e la terapia offre la possibilità di acquisire maggiore fiducia nel proprio pensiero, ma anche di rivedere modalità di pensare e di pensare a se stessi, agli altri e alle vita poco funzionali.
3) Ognuno decide per sé, e le proprie decisioni possono essere cambiate
Qualsiasi decisione abbiamo preso nella nostra vita, soprattutto quelle che abbiamo preso da bambini in un tempo in cui avevamo naturalmente meno risorse e meno possibilità di scegliere, possono essere cambiate (ad esempio: “Ho deciso che sarò un bravo bambino per essere amato da mamma e papà”. Una volta diventato adulto, questo bambino potrà essere molto compiacente nei confronti dell’altro, mettendo da parte in maniera eccessiva i propri bisogni). Per questo abbiamo sempre l’opportunità di ri-decidere nel rispetto di noi stessi, ma anche degli altri. Se, ad esempio, ci rendiamo conto che alcune modalità comportamentali, alcuni pensieri ed emozioni che si sono rivelate utili in un tempo passato non sono più adatte nella nostra vita di adulti possiamo scegliere di modificarli, in accordo alle consapevolezze e ai bisogni di oggi. Nessuna decisione viene condannata; ogni decisione, attraverso la rilettura della storia personale, racchiude in sè una profonda saggezza in quanto, in quel tempo, era la migliore scelta che la persona potesse fare.
La semplicità di un approccio profondo
Uno degli aspetti più apprezzati dell’AT dalle persone che intraprendono un percorso personale è non soltanto l’efficacia della “relazione che cura”, ma anche la semplicità del suo linguaggio. Semplicità che racconta, senza mettere distanza tra professionista e paziente attraverso l’uso di termini tecnici poco comprensibili a chi non è del settore, la profondità e la ricchezza dell’essere umano.
A tal proposito, desidero condividere con te, in semplicità appunto, alcuni dei concetti principali dell’AT, che potranno tornare utili sia che tu decida di intraprendere un percorso, sia come conoscenza personale se sei curioso di saperne di più.
Il modello degli Stati dell’Io (Genitore – Adulto – Bambino)
Cos’è uno Stato dell’Io? E’ il modo in cui ci comportiamo, pensiamo e sentiamo in un dato momento. Se ci comportiamo, pensiamo e sentiamo in base a ciò che sta accadendo nel momento presente e utilizziamo tutte le risorse di persone adulte che abbiamo a disposizione, vuol dire che in quel momento ci troviamo nello Stato dell’Io Adulto (ad esempio quando ci stiamo adoperando per trovare una soluzione ad un problema al lavoro). Quando ci comportiamo, pensiamo e sentiamo in un modo che è simile a quello dei nostri genitori o delle figure genitoriali che abbiamo avuto nella nostra vita, siamo nello Stato dell’Io Genitore (ad esempio quando ci troviamo ad essere molto critici nei confronti del lavoro di un collega, così come era critica la nostra mamma o il nostro papà quando eravamo piccoli). Se ci comportiamo, pensiamo e sentiamo come quando eravamo bambini, si dice allora che siamo nello Stato dell’Io Bambino (quando ad esempio abbiamo paura di entrare in ascensore e di restare bloccati).
Le transazioni
Quando comunichiamo con gli altri possiamo farlo da uno dei tre Stati dell’Io (Adulto, Genitore o Bambino). Gli altri, a loro volta, possono rispondere da uno dei tre stati dell’Io. Questo scambio di comunicazioni si chiama transazione. L’Analisi Transazionale in senso stretto consiste nell’impiego del modello degli Stati dell’Io per analizzare le transazioni fra le persone e comprendere meglio cosa avviene nei rapporti interpersonali. Anche il nostro dialogo interno può essere letto alla luce degli Stati dell’Io.
Le carezze
Le carezze, in Analisi Transazionale, sono tutti i riconoscimenti fisici e psicologici di cui abbiamo bisogno per mantenere il nostro benessere psicologico, fisico, relazionale (abbracci, sorrisi, parole di apprezzamento, sguardi…). Non sempre siamo abituati a riceverne, a darne o a chiederne. Ma siamo sempre in tempo per imparare a farlo!
Il copione
Il copione è la storia di vita che ognuno di noi scrive per se stesso, sulla base delle esperienze di vita, sin dal grembo materno. La stesura completa del copione inizia nella primissima infanzia (si stima intorno ai cinque mesi di vita del feto) e finisce con la tarda adolescenza. Quando diventiamo adulti non siamo totalmente consapevoli di ciò che abbiamo scritto, specie rispetto alle primissime battute impresse quando eravamo molto piccoli. Ma non ce ne dimentichiamo e, inconsapevolemente, continuiamo a seguire questo copione, come attori esperti, facendo di tutto per avvicinarci all’esito della storia, al finale che abbiamo deciso incosapevolmente da bambini. Nel corso della vita adulta, però, ci possiamo accorgere che molte delle decisioni prese nel là ed allora non sono più funzionali e coerenti con il nostro presente. La terapia, allora, può costituire l’opportunità per scrivere nuovi capitoli per la propria vita e per modificare i finali del copione che non ci piacciono più.
L’autonomia
Se vogliamo realizzarci completamente come persone adulte è importante che aggiorniamo le decisioni prese da bambini. A un certo punto della nostra vita, infatti, ci renderemo conto che non possiamo andare avanti con quelle vecchie strategie infantili; dobbiamo rivederle, dar loro un senso, riadattarle o sostituirle, scoprendone di nuove. Dobbiamo uscire dal nostro copione, quindi, e raggiungere l’autonomia, quindi le nostre originarie capacità di essere consapevoli, spontanei e intimi.
Le emozioni parassite (o emergenti)
Cos’è un parassita? E’ un essere che vive a spese di un altro. Possiamo avere emozioni dentro di noi che esistono realmente, ma che sono sostitutive di emozioni autentiche. La differenza fra emozioni autentiche ed emozioni parassite è che le prime non ci sono state permesse dai nostri genitori (o da chi si è preso cura di noi) in quanto poco familiari per il clima in cui siamo cresciuti, le seconde sì; anzi spesso sono state incoraggiate o sostituite ad altre emozioni di base temute o tenute lontane.